La stagflazione, scrive oggi Francesco Guerrera su Repubblica, è come lo Yeti: in molti ne parlano con terrore ma nessuno l’ha mai vista. Diciamo “quasi nessuno”, visto che il temutissimo cocktail di ristagno economico e inflazione fu servito negli anni ’70 sia negli Usa che in Europa. Ma da allora, come l’irsuta creatura himalayana, non se n’è trovata più traccia. Fino ad ora. La collisione tra pandemia, l’enorme stimolo monetario delle banche centrali dei Paesi industrializzati e fenomeni demografici e sociali ha fatto riapparire la minacciosa ombra della stagflazione sui mercati mondiali.

“Vista la natura del fenomeno, le cause sono di due tipi: quelle che stanno facendo rallentare la crescita e quelle che stanno facendo salire l’inflazione – spiega Guerrera –. Come vedremo, però, ci sono alcuni fattori che tengono i piedi nei due campi. Primi fra tutti i colli di bottiglia nella catena di approvvigionamento, causati da mancanza di componenti vitali quali i chip per computer, macchine, elettrodomestici e così via. Non c’è dubbio che questo choc stia avendo un effetto negativo sul Pil mondiale perché aziende e Paesi stanno producendo molti meno beni e servizi che nel passato. Ma la scarsità è anche una delle ragioni principali per la salita nei prezzi. Il costo medio di un’auto nuova negli Usa ha toccato un record ogni mese per sei mesi consecutivi e a settembre ha superato la barriera di 45 mila dollari per la prima volta nella storia. Mentre per le auto usate, il prezzo medio è ormai sopra i 28 mila dollari, circa il 40% più di prima della pandemia.”

Tutto ciò non vuol dire che stiamo per tornare ai tempi di Mcleod o di Richard Nixon, spiega ancora Guerrera. Anzi, al momento una classica “stagflazione” sembra molto lontana, soprattutto perché la crescita economica rimane robusta, anche se un po’ in calo. Il Fmi, per esempio, non sembra preoccupato. Un paio di settimane fa, ha predetto che il Pil mondiale quest’anno crescerà del 5,9%, una minuscola riduzione sul 6% pronosticato a luglio. I numeri per l’anno prossimo sono rimasti al 4,2%. È vero che le economie sviluppate cresceranno meno del previsto – 5,2% invece del 5,6% – ma le previsioni per alcuni paesi, tra cui l’Italia, sono state addirittura accresciute. Per ciò che riguarda l’inflazione, il Fmi si aspetta un picco del 3,6% nei Paesi sviluppati prima di scendere verso il 2% nella prima metà del 2022. Non certo un clima da stagflazione. Gli economisti di Deutsche Bank sono d’accordo. Dopo aver analizzato tutte le principali economie del pianeta, hanno concluso che nessuna di loro si sta avvicinando alla zona rossa della stagflazione, definita come crescita inferiore all’1% e inflazione sopra al 3%. “Al momento, siamo ancora lontani da qualcosa che somiglia alla stagflazione”. Le previsioni possono essere riviste e una prolungata stretta nei costi energetici e delle materie prime potrebbe cambiare la situazione, ma per ora la stagflazione rimane un rischio improbabile.

“Il più grande pericolo proviene, come sempre, dagli esseri umani e in particolare due categorie: i consumatori e i banchieri centrali. I primi sono una vera incognita – conclude Guerrera –. Se decidessero di spendere i notevoli risparmi accumulati durante la pandemia creerebbero un rimbalzo nella domanda che quasi sicuramente fomenterebbe l’inflazione. E se riuscissero a negoziare salari più alti con datori di lavoro alla disperata ricerca di impiegati, anche quello farebbe salire l’inflazione. Dan Hanson di Bloomberg Economics ha modellato proprio questo scenario e i risultati fanno un po’ paura: l’inflazione salirebbe al 4,8% negli Usa, al 2,9% nella zona euro e al 4% nel Regno Unito. Numeri del genere costringerebbe i banchieri centrali ad agire repentinamente, alzando i tassi e tagliando lo stimolo. Misure che metterebbero sotto pressione l’inflazione ma danneggerebbero la crescita. Alcune banche si sono già mosse. La Banca del Canada la settimana scorsa ha sorpreso i mercati con l’annuncio della fine del suo programma di stimolo e la previsione che potrebbe alzare i tassi già ad aprile. In Brasile, la banca centrale ha effettuato il più grande aumento dei tassi in vent’anni. E nel Regno Unito, sono in molti a credere che la Bank of England diventerà la prima banca centrale di un Paese-guida ad alzare i tassi, forse questa settimana.”

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