Allacciate le cinture. Arriva il rialzo dei tassi della Federal Reserve: obiettivo, rallentare la crescita che negli Usa non è mai stata così grande, per cercare di fermare l’inflazione che corre. La Bce dice che non seguirà la Fed, ma c’è poco da crederci. Nel giro di qualche mese anche per noi il costo del credito sarà più alto e la crescita, che non è mai stata fenomenale, si ridurrà di nuovo.

L’economia e il mercato del lavoro si sono rafforzati, mentre l’inflazione è «ben sopra il 2%», quindi «a breve sarà appropriato alzare i tassi di interesse». Lapidario, sintetico (e atteso) il giudizio complessivo della Fed sul ciclo economico, per quanto sulle prospettive permangano «rischi» in particolare legati alla pandemia, inclusa la possibilità di nuove varianti Covid, scrive Vittoria Puledda su Repubblica.

Ma «l’economia non ha più bisogno di un forte sostegno della Fed», ha chiarito a conclusione della riunione il presidente della Banca centrale, Jerome Powell, aprendo la strada al primo rialzo dei tassi dal 2018. E se è vero che è «difficile prevedere quale sarà l’andamento della nostra politica sui tassi, non abbiamo preso alcuna decisione e saremo guidati dai dati», ha anche aggiunto di veder spazio per un rialzo dei tassi senza danneggiare il mercato del lavoro («molto, molto forte»). Soprattutto, Powell ha confermato la sua missione: evitare «con tutti gli strumenti» che l’inflazione alta si radichi, per cui «se le condizioni attuali restano invariate» la Fed è dell’idea di alzare i tassi a metà marzo.

A botta calda, secondo Puledda, la reazione c’è stata: ieri Wall Street ha invertito la rotta per chiudere in calo dello 0,38% mentre il Nasdaq, che guadagnava il 3%, ha chiuso invariato (+0,02%) e il rendimento dei Treasury bond a dieci anni è salito fino a quota 1,85% (nel momento più basso della giornata era a 1,77%); persino il Bitcoin, che aveva ben riguadagnato terreno dopo aver toccato a inizio settimana il minimo da otto mesi, ha concluso la seduta con un rialzo solo dell’1,04%.

Come da copione, la Banca centrale Usa ha lasciato i tassi invariati – nel corridoio 0-0,25% – fino a metà marzo, quando si terrà la prossima riunione Fed (il 16). Confermando invece gli altri tre perni della politica monetaria attesa: conclusione del tapering (la riduzione progressiva del programma di acquisti di obbligazioni sul mercato) a inizio marzo; azione sui tassi alle porte (pur sottolineando che sarà guidata da come evolverà il quadro generale e sarà comunicata «il più chiaramente possibile e in modo trasparente») e, infine, riduzione del bilancio della Fed (8800 miliardi di dollari di titoli in portafoglio) con il calo dei reinvestimenti dei bond in scadenza.

“Con due aggiunte, per spiegare meglio la manovra: primo, la riduzione comincerà solo dopo il rialzo dei tassi e sarà «prevedibile e ordinata», quindi non ci saranno shock sui mercati – conclude Puledda –; secondo, l’obiettivo è avere in bilancio prevalentemente titoli pubblici, i Treasury, il che significa che non verranno rinnovati soprattutto quei titoli che hanno come sottostante mutui, con l’evidente intento di frenare il surriscaldamento del mercato immobiliare.”

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