Il fondatore di questo blog, Un’Europa diversa, Ernesto Preatoni, ha dedicato il suo editoriale di sabato su Libero al tema della guerra in Ucraina. E a una brutta discussione con la senatrice Lezzi, con la quale, nel corso del programma “Non è l’Arena”, si è confrontato sulle politiche energetiche dell’Italia, che ci hanno portato al prezzo dei carburanti per i quali, tutti noi, siamo penalizzati in queste settimane.
Partiamo dall’inizio. Nell’articolo su Putin – quello di due settimane fa – mi ero sbagliato. Non pensavo, voglio dirlo apertamente, che avrebbe superato la linea del Rubicone in una mossa, quella di invadere l’Ucraina, che considero davvero un’over-reaction, una reazione eccessiva, alle politiche di una Nato che, pure, dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica non ha mai smesso di allargare i propri confini verso Est. Come cercavo di spiegare qualche giorno fa, alla trasmissione “Non è l’Arena”, il grande, grandissimo, anzi, enorme problema di cui davvero in pochi si rendono conto è il danno globale che questa guerra rischia di provocare. Prima di tutto da un punto di vista di tensioni geopolitiche – è dai tempi di Cuba che non siamo stati così vicini a una terza guerra mondiale –, in secondo luogo da un punto di vista umanitario: si parla di oltre due milioni di profughi, migliaia di morti tra i civili. Una catastrofe.
Una catastrofe anche per i danni che il conflitto sta provocando all’economia globale. Putin evidentemente non se ne rende conto, dal momento che non capisce nulla di questa materia: ha una cultura da Kgb e figurarsi se può sapere come creare ricchezza. Quello che mi preoccupa è che anche gli Stati Uniti sembrano ragionare più in un’ottica di “celodurismo” nei confronti della Russia, che su una base razionale. Dopo le sanzioni hanno scelto di applicare l’embargo alle materie prime provenienti da Mosca ragionando – non diversamente da quanto ha fatto la Gran Bretagna – sul fatto che l’importazione di questi prodotti è marginale rispetto al fabbisogno nazionale. Il problema è che Biden, esattamente come Putin, sembra non rendersi conto del fatto che ormai l’economia è così interconnessa da comportarsi come una sorta di budino. Basta sfiorarlo per farlo tremare. E Putin non l’ha sfiorato, gli ha dato un calcio.
Io sono proprietario di un terreno, in Ucraina, dalle parti di Krivoy Rog: su quel terreno ero intenzionato a costruire un centro commerciale. Ho deciso di sospendere il progetto nel 2014, proprio a seguito delle tensioni tra Russia e Ucraina. Ecco quel terreno alcuni giorni fa è stato bombardato. La cosa più significativa è però che Krivoy Rog – anche se probabilmente pochi di voi la conoscono – è soprattutto un grande fornitore di metalli per l’Italia: se non potranno assicurare le forniture a causa della guerra molte imprese nella zona di Brescia rischiano di chiudere. L’avreste immaginato? Non è differente il discorso del grano: sapete quanto ne arriva in Europa dall’Ucraina?
Sapete tutti però che sul gas dipendiamo dalla Russia. Il motivo? Abbiamo detto no alle trivelle nel Mediterraneo, abbiamo detto no al nucleare, abbiamo detto no al Tap, il Trans Adriatic Pipeline, il gasdotto il cui percorso attraversa il nord della Grecia, l’Albania e il Mare Adriatico prima di approdare nel sud Italia, in Puglia. A forza di dire no, non ci sono rimaste alternative. Su questo a “Non è l’Arena” ho avuto un brutto scambio con Barbara Lezzi. Sarebbe stato necessario, diversi anni fa, pensare a una seria politica di diversificazione energetica per l’Italia: se Putin domani dovesse decidere di chiudere il rubinetto, saremmo in braghe di tela. Ho provato a spiegarlo all’onorevole Lezzi, che continua a non capire. Addirittura l’ho vista dichiarare al Foglio, il 14 febbraio, che il Tap resta un’opera inutile. Mi dispiace averle chiesto se nella sua precedente vita lavorativa facesse la cameriera – lavoro onorevolissimo –, ma, da come la vedo insistere in direzione ostinata e contraria, continuo a pensare che l’economia non faccia davvero parte della sua cultura. Come io non ho avuto nessun problema a riconoscere di aver sottovalutato le possibili azioni di Putin, prima della guerra, chi governa il Paese dovrebbe avere il coraggio di riconoscere che la politica dei “no” sul fronte dell’energia ci ha cacciato in un cul de sac. Se non lo fa, dimostra di non essere sufficientemente preparato per stare seduto dove si decide il futuro di un Paese.













