Gli Stati non ripagheranno mai i loro debiti. A dirlo, con tanto di numeri e tabelle uno studio che viene da una fonte assolutamente insospettabile. Si tratta nientemeno che dell’agenzia di rating Standard and Poor’s, fustigatrice feroce delle dissolutezza finanziarie di istituzioni pubbliche e private, nello studio “Global Aging 2010: An irreverisble Truth”. Secondo questa analisi fra mezzo secolo (all’incirca nel 2060) il 60% dei Paesi andrà in fallimento. Gli Stati Uniti  fra i primi perché il loro debito raggiungerà il  450% del Pil. Insomma stiamo andando verso la più grande bolla dei debiti della storia? I tecnici di S&P lo negano assolutamente vestendo contemporaneamente i panni del piromane e quello del pompiere. Inevitabile. Già adesso i segnali d’allarme cadono nell’assoluta indifferenza suscitando, al più, infastidite risposte: se la corsa del debito fosse inarrestabile a che cosa servirebbero?

Così gli esperti di S&P si sono impegnati in una lunga analisi per spiegare per quale ragione è certo che gli Stati non ripagheranno mai i loro debiti, ma non per questo c’è da aspettarsi la fine del mondo come per famosa profezia della civiltà  Maya (anche questa a quanto pare destinata a lasciare il pianeta piuttosto indifferente). Il debito della prima economia del pianeta, gli Stati Uniti, ammonta a 16mila miliardi di dollari e cresce ad un ritmo compreso fra 3,5 e 4 miliardi al giorno. Il suo livello ha toccato il 140% del Pil. Poi c’è il Giappone, la terza economia del pianeta, che ha un debito superiore ai 10milia miliardi di dollari (23°% del Pil). L’Italia, che in questo momento è l’ottava economia è al 126%.

Come osservava qualche giorno fa Vito Lops su “Il Sole 24 Ore”  in questo momento tra i 20 Paesi primi nella classifica del Pil si nota una strana correlazione tra debito e livello di potenza. Come dire che, con qualche eccezione, gli Stati più forti sono anche i più indebitati.

Insomma, stiamo davvero andando verso la più grande bolla dei debiti della storia?

“I debiti non verranno mai ripagati, ma non per questo finirà il mondo” diceva senza mezzi termini  Tommaso Federici, responsabile gestioni Banca Ifigest a “Il Sole 24 Ore”. Bisogna invece da una parte provare a stabilizzarli “e allo stesso tempo adottare una politica monetaria accomodante come nei casi inglese, statunitense e giapponese dove il debito si monetizza. Ma anche in maniera meno diretta consentendo un’inflazione superiore ai tassi nominali che i governi pagano sul debito. In sintesi, la politica monetaria deve in questo frangente innanzitutto scongiurare il rischio deflazionistico che porterebbe all’insostenibilità del debito nel medio termine». Gabriele Roghi, responsabile gestioni patrimoniali di Invest Banca, intervistato qualche giorno fa da “Il Sole 24 Ore” aggiungeva: «Difficile pensare che si possa ripagare questa mole di debito con mezzi convenzionali: è talmente elevato che necessita sostanzialmente di più di una delle seguenti condizioni: 1) una crescita economica più elevata del costo del debito da pagare e che quindi riesca a generare avanzi di bilancio elevati per abbattere il debito: 2) un tasso di inflazione che abbatte in termini reali lo stock di debito; 3) una qualche forma di ristrutturazione (delle durate o delle cedole): in questa categoria rientrano le azioni di monetizzazione che attualmente le banche centrali stanno effettuando per sostenere la domanda che il libero incontro sul mercato non riesce a trovare acquirenti».

di Ernesto Preatoni

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(foto Flickr)


 

 

 

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