Qualche giorno fa, sulle pagine del sito Start Magazine, Giuseppe Liturri ha pubblicato un’interessante analisi su come non tutto quello che tocca Draghi si trasformi in oro. Il 2022 rischia, ad esempio, di essere ricordato non come l’anno della grande ripresa ma come una grande occasione persa, quella di tagliare in maniera significativa le tasse.
“Da quando giovedì scorso il governo ha approvato il disegno di legge di bilancio, sappiamo che è pari a 30 miliardi l’ammontare delle misure varate, ma scende a 24 miliardi l’ammontare di quelle finanziate in deficit, che è la misura “vera” di questa legge di bilancio – scrive Liturri –. Gli altri 6 miliardi sono frutto di tagli di spesa o maggiori entrate rispetto agli obiettivi fissati col DEF di aprile. Da fine settembre è in corso un dibattito molto acceso su come distribuire questi circa 24 miliardi per il 2022 e la legge di bilancio ha finalmente offerto un quadro – per certi aspetti ancora provvisorio – sulla distribuzione di tali risorse tra spese, investimenti e riduzioni di tasse, ma quasi nulla si è detto sul perché si ragioni su 24 miliardi e non su una cifra superiore. Cosa impedirebbe al bilancio pubblico di recitare un ruolo più propulsivo a sostegno del reddito dei cittadini? Perché, se il bilancio dello Stato del 2021 prevede spese per 937 miliardi oltre a interessi per 60 miliardi, lo spazio di manovra si riduce a 24 miliardi?”
Secondo Liturri, pur essendo il 2022 l’ultimo anno in cui resterà attiva la clausola di salvaguardia del Patto di Stabilità, il governo Draghi ha rinunciato a sfruttare questo eccezionale e probabilmente irripetibile spazio di manovra offerto e, in soli 5 mesi, è addirittura indietreggiato negli obiettivi fissati ad aprile, quando aveva promesso un deficit/PIL del 5,9% nel 2022 che poi a settembre ha corretto al 5,6%; inoltre il percorso definito per gli anni successivi è tutto orientato al conseguimento degli obiettivi del Patto di Stabilità, confermandone in toto i principali cardini. Altro che revisione del Patto, i nostri documenti di bilancio fino al 2024 ne confermano la piena operatività e promettono il sostanziale conseguimento di un avanzo primario nel 2024 (-0,8% l’obiettivo programmatico), partendo da un disavanzo di 106 miliardi nel 2021 che si azzererà progressivamente.
La legge di bilancio 2022 è tutta giocata all’interno di questo perimetro e il DPB inviato a Bruxelles ne definisce la cornice, specificando misura per misura, come dovrà essere distribuito quell’1,3% del PIL di deficit, aggiuntivo rispetto a quello che avremmo avuto a legislazione vigente. Se si è scelto di non spingersi a fare un deficit che pure era nei programmi di aprile, è inevitabile che la pressione fiscale – salita allo stratosferico livello del 42,8% nel 2020 – è prevista scendere in misura frazionale al 41,9% nel 2021 e al 41,7% nel 2022. Movimenti impercettibili, quando sarebbe stato possibile osare di più. Sorprende che, tranne alcune voci coraggiose e autorevoli come quella di Gustavo Piga, professore di economia a Tor Vergata, queste osservazioni siano state completamente assenti dal dibattito di queste settimane.
“A questo punto, tornano in mente in tutta la loro genialità e capacità di preveggenza le parole di George Orwell in “1984”: il popolo esultava perché la razione di cioccolata era stata portata a 20 grammi, ma nessuno osava far rilevare che fino alla settimana prima era stata di 30 grammi – conclude Liturri –. Per chi temeva ulteriori riduzioni, anche soli 20 grammi erano un motivo per esultare. Il mondo distopico di Orwell è ormai la consolidata realtà dell’Italia di questi ultimi anni.”













