Ma come? Il “fu” profeta dell’austerità espansiva, Francesco Giavazzi, che negli anni passati lanciava strali sul Corrierone nazionale contro il debito pubblico e gli italiani che, secondo lui, facevano le cicale (secondo noi, invece, morivano di fame) ha cambiato idea. Da quando è stipendiato dal governo nel ruolo di consigliere economico di Draghi il nostro professorone ha deciso: il debito è buono e non si discute. Un bel voltafaccia a cui ha dedicato l’editoriale di sabato su Libero il fondatore di questo blog, Ernesto Preatoni. Lo potete leggere qui.

Il Presidente della Repubblica prima di fare fagotto dovrebbe pensare a una benemerenza per un giornalista, Michele Arnese, che qualche giorno fa ha twittato: “’Il debito è un concetto del secolo scorso’ lo dice oggi l’economista Francesco Giavazzi, consigliere del premier Mario Draghi. Praticamente il consigliere Giavazzi smentisce e rottama le tesi sostenute per anni – direi per decenni – dalla prima pagina del Corriere della Sera.” A cosa si riferiva Arnese? Beh, pare che l’esimio economista – che ora appunto fa il consigliori di Draghi a Roma (durante il Festival Città Impresa abbia liquidato, peraltro con un certo fastidio, la spada di Damocle del debito pubblico, che pende, sempre più grande, sul capo del Paese, affermando che la “qualità giustifica la spesa” e che i buoni progetti meritano di essere finanziati.

Ma come – si sono chiesti in tanti, dal sottoscritto, che in passato ha criticato duramente le posizioni di Giavazzi e dei suoi editoriali sul Corriere della Sera, fino a Monti che, abbastanza piccato, ha servito al consigliere di Draghi un bel editoriale proprio sulle pagine del quotidiano di via Solferino – il professore ha passato anni a scrivere articoli a favore della famosa “austerità espansiva” e adesso che fa? Ritratta?

Giova ricordare che il professor Giavazzi, nel 2019, era arrivato a pubblicare addirittura un libro, con Alberto Alesina, dal titolo “Austerità, quando funziona e quando no.” La tesi era più o meno la seguente: in Italia l’austerità non c’è stata o se c’è stata è stata troppo poca. Per curare un’Italia che non cresceva e per ridurre il debito sarebbe stato necessario, secondo i due, stringere ulteriormente i cordoni della borsa. Come ho scritto più e più volte a me queste teorie strampalate – che andavano contro le più semplici basi di economia moderna – hanno sempre ricordato i salassi prescritti dai medici fino alla fine del diciannovesimo secolo. Non curavano il paziente, ma lo debilitavano fino ad accelerarne la morte.

Voglio anche ricordare che Giavazzi firmò un articolo dal titolo “Le falsità che circolano sulla cura Monti”, una chicca. “Si sta diffondendo una sciocchezza, cioè un’opinione che non ha riscontri nell’evidenza empirica. Il rigore nei conti pubblici sarebbe la ragione per cui la recessione si prolunga e la disoccupazione non scende”, scriveva Giavazzi, insieme ad Alesina. Di questo, aggiungevano i due, “Ne fa cenno persino il Fondo monetario internazionale che raccomanda all’Europa cautela nell’aggiustare i conti pubblici. Lo scrive Wolfgang Münchau sul Financial Times (nell’articolo «Why Monti is not the right man to lead Italy», perché Monti non è l’uomo giusto a guidare l’Italia), che lunedì ha paragonato Mario Monti a Heinrich Brüning, l’ultimo cancelliere della Repubblica di Weimar il cui tentativo di riportare in ordine i conti pubblici avrebbe, secondo alcuni, determinato la fine dell’ultimo esperimento democratico prima dell’avvento del nazionalsocialismo.” “Senza austerità, in Italia come in altri Paesi europei, non vi sarebbe stata più crescita ma spread alle stelle, una probabile ristrutturazione del debito, scricchiolii nei bilanci delle banche: insomma, il rischio di un altro 2008.”, concludevano i due sicuri e impassibili.

Sappiamo tutti che solo gli stupidi non cambiano mai opinione. Evidentemente Giavazzi deve averlo fatto se, dopo essersi schierato a favore della cura Monti (che ha rischiato di ammazzare il paziente Italia), ha cambiato idea. Secondo me sarebbe un gesto garbato ammetterlo, pubblicamente. Dire: avevo torto. Credevo di essere nel giusto e mi dispiace essermi prestato per una campagna di opinione che è servita a qualcuno a far ingoiare al Paese scelte insensate come la ratifica del Fiscal Compact. Abbiamo anche noi, che abbiamo sostenuto certe tesi per un fatto di visibilità personale, una responsabilità nelle scelte, insipienti, che questo Paese ha fatto quando è stato letteralmente commissariato dall’Europa. Me ne dispiace e me ne scuso.

Questo vorrei sentire, per una volta.

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