Ci hanno venduto le bugie più varie ed eventuali sull’aumento dei prezzi. Hanno parlato prima di “collo di bottiglia sulla supply chain”, ovvero di un eccesso di domanda rispetto alla catena di fornitura, poi di inflazione indotta dal caro materie prime. Nel frattempo, comprare due etti di pane sta diventando come comprare oro colato. La verità è che, tra le ragioni degli aumenti, ci sono i mercati: è in atto una speculazione su beni, come il grano, che stanno alla base della produzione alimentare e che sta mettendo alle corde i poveri. Gli investitori guadagnano, la povera gente muore di fame.
Andrea Mainardi, sulle pagine della testata online Start Magazine, ha pubblicato un interessante intervento dedicato ai prezzi dei generi alimentari continuano a salire in tutto il mondo, secondo l’indice dei prezzi dei prodotti alimentari dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao). L’indice è salito di un altro 1,1% a gennaio rispetto al mese precedente, raggiungendo il punto più alto dal 2011 e sembra diretto verso il picco storico toccato a metà degli anni ‘70. L’indice misura la variazione mensile dei prezzi medi delle categorie alimentari carne, latticini, cereali, oli vegetali e zucchero.
I prezzi dell’olio vegetale, in particolare, hanno registrato l’aumento più marcato, in crescita del 4,2% rispetto a dicembre. L’aumento è dovuto alle preoccupazioni per una possibile riduzione delle esportazioni di olio di palma dall’Indonesia, uno dei principali produttori ed esportatori. I prezzi globali dell’olio di palma sono aumentati l’anno scorso: la domanda dei principali acquirenti come India e Cina è ripresa, mentre la produzione in Indonesia e Malesia è rallentata anche per la carenza di lavoratori migranti in Malesia, provocata dalle restrizioni per contrastare la pandemia. In Indonesia, i prezzi sono aumentati del 40% rispetto all’anno precedente. L’altra categoria che infiamma i prezzi dei generi alimentari è quella dei prodotti lattiero-caseari, in aumento a gennaio del 2,4% rispetto al mese precedente. I maggiori aumenti si registrano per latte scremato in polvere e burro. L’aumento di gennaio è stato sostenuto da un inasprimento dei mercati globali, che riflette una riduzione delle disponibilità all’esportazione, in particolare dall’Europa occidentale, dove una riduzione delle consegne di latte segnalata in alcuni grandi paesi produttori e livelli di scorte inferiori hanno sostenuto i prezzi. Le aspettative che la produzione di latte in Oceania rimanga al di sotto dei livelli medi nei prossimi mesi si sono aggiunte alla stretta sui mercati lattiero-caseari globali.
Leggero aumento dei prezzi della carne rispetto a dicembre 2021, però in crescita del 17,3% rispetto a un anno fa. A gennaio, i prezzi dei bovini hanno raggiunto un nuovo picco, sostenuti da una forte domanda mondiale di importazioni che supera le forniture di esportazione, principalmente dal Brasile e dall’Oceania, riflettendo la diminuzione delle forniture di bestiame per la lavorazione. Nel frattempo, le quotazioni della carne suina sono leggermente aumentate, poiché la carenza di manodopera e gli elevati costi di input hanno smorzato l’offerta globale, contrastando la pressione al ribasso dovuta al rallentamento delle importazioni cinesi. “L’impennata dei prezzi dei generi alimentari continuerà a colpire le famiglie a più basso reddito, dove il cibo assorbe una quota molto più ampia del loro reddito – spiega Mainardi –. Secondo l’Economic Research Service dell’U.S. Department of agriculture (Usda) le famiglie statunitensi con redditi più elevati spendono di più per il cibo, ma l’importo speso rappresenta una parte complessiva inferiore dei loro budget. Nel 2020, le famiglie nel quintile di reddito più basso hanno speso una media di $ 4.099 per il cibo (che rappresentano il 27% del reddito), mentre le famiglie nel quintile di reddito più alto hanno speso una media di $ 12.245 (che rappresentano il 7% del reddito).”
Secondo molti analisti, ricorda Avvenire, la corsa dei prezzi del cibo, dieci anni fa, fu tra le cause che scatenarono la Primavera Araba. Buona parte di questi rincari devono ancora essere “scaricati” sui consumatori finali. In Italia sono pochi i prodotti alimentari che hanno segnato rincari davvero pesanti sul prezzo finale: l’olio di oliva (+4,7%), gli oli di semi (+17,7%), la pasta (+4,6%), il pesce (+3,1%), carne bovina e salumi (entrambi +1,3%); il prezzo della frutta risulta in calo dello 0,9%, quello dei vegetali in aumento dello 0,6%. Osserva il quotidiano: “Lungo la filiera è però visibile la tensione tra produttori e distributori su chi deve farsi carico di contenere la crescita dei prezzi finali. Solo nei prossimi mesi si capirà davvero quanto la corsa dei prezzi globali si farà sentire alla cassa dei nostri supermercati”. Ma per molte famiglie il problema dei rincari è già qui. Nel 2022 si prevede lieviteranno in particolare i prezzi della pasta (+25%) e del pane (12,5%). Per Federdistributori, effetto del caro-energia e della bolla speculativa sul grano.













