Napoli, Roma, Milano. Non c’è una città simbolo del Paese che sia stata risparmiata, negli ultimi giorni, dalla rabbia di chi ha perso il lavoro o che non sa come fare a pagare le bollette, dopo che gli è stata preclusa la possibilità di lavorare a causa delle misure anti Covid. E questo è solo l’inizio, perché in Italia – come notava Nicola Saldutti in un’intervista a Luca Cordero di Montezemolo, lunedì, sulle pagine dell’Economia del Corriere – è difficile governare un Paese che ha 7 milioni e mezzo di persone in cassa integrazione. Non siamo solo a rischio pandemia, siamo a rischio disgregazione sociale di questo Paese.

Martedì sera, in Corso Buenos Aires, a Milano, le telecamere dei telegiornali hanno ripreso una scena che difficilmente, pochi mesi fa, ci sarebbe aspettati di vedere. Il centro del capoluogo lombardo deserto, per via del coprifuoco, occupato da trecento manifestanti senza autorizzazione che risalivano una delle arterie principali della città. Armati di bastoni, bombe carta e molotov e che al grido di “libertà libertà” protestavano contro le misure anti Covid.

Sono stati classificati come: ultrà, appartenenti all’ultra-destra, appartenenti ai centri sociali e, più in generale, fasce estremiste della società. È più che probabile. Il tema però è un altro: il centro del problema è se il Governo, nei prossimi giorni, sarà davvero in grado di tamponare l’impatto negativo che il nuovo Dcpm del premier Conte rischia di produrre in tutti coloro che hanno un’attività, oppure lavorano in un esercizio che deve prevalentemente il suo fatturato all’orario notturno? Per non parlare di chi opera nell’intrattenimento. L’altra grande domanda è: se anche i ristori saranno sufficienti, come se la caverà il Paese quando – passata l’emergenza – Bruxelles gli chiederà di ridurre l’enorme buco che la cassa integrazione e gli altri ammortizzatori sociali stanno generando nel debito pubblico? Alzando di nuovo le tasse? Imponendo una patrimoniale? Come?

La verità è che il Paese è spezzato in due. Da una parte quelli che possono permettersi di lavorare da casa, quelli che hanno uno stipendio garantito nella pubblica amministrazione o in aziende abbastanza solide da potersi permettere di superare (in qualche caso cavalcare) la pandemia. Poi ci sono tutti gli altri. Gli imprenditori, gli autonomi, i precari, i giovani, quelli che non hanno ancora visto la cassa integrazione da aprile. Bisogna che il Paese di prepari a parare i colpo e cerchi di includere tutte le categorie nelle politiche di salvaguardia sociale che sta mettendo a punto.

Altrimenti rischiamo di vedere, presto, nuove scene di guerriglia nel centro delle città italiane.

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