Se ne parla poco, perché la grande paura è che svelare quello che sta accadendo sui grandi giornali possa creare fenomeni di emulazione. Oppure gettare benzina sul fuoco. Però sta succedendo e bisognerà pur affrontare il fenomeno: mettere la testa sotto la sabbia, come gli struzzi, non risolve un problema grande, che rischia di travolgere la società. Il problema si chiama rivolta sociale, se n’è parlato e sta già avvenendo: la scintilla negli Stati Uniti è stato l’omicidio di George Floyd. La protesta ora si è spostata a Parigi e a Londra. Le proteste nascono da ragioni diverse, ma il risultato è il medesimo: assalti alle attività commerciali, scontri, sfogo di rabbia e frustrazioni. Il rischio è di essere solo all’inizio.

Lo aveva detto e scritto diverso tempo fa il fondatore di questo blog, Ernesto Preatoni. Il grande rischio collegato al lockdown – necessario per contenere l’epidemia da Covid-19 – era che la povertà che lo stop a tutte le attività economiche avrebbe portato a una grande recessione globale, con un incremento di quanti non sarebbero stati in grado di provvedere a sé stessi. Non solo: il vero grande rischio, collegato soprattutto all’ulteriore allargamento della forbice tra ricchi e poveri, avrebbe potuto portare a un incremento delle tensioni sociali, non solo tra chi ha molto e chi ha poco.

Lo scenario a cui assistiamo sta, in qualche modo, confermando queste teorie. Negli Stati Uniti l’omicidio del povero George Floyd rischia di rappresentare un evento altrettanto scioccate e dirompente, tanto quanto fu, in Europa, l’omicidio di Francesco Ferdinando nel 1914. Rischia di costare molto caro a Trump – che è già in grande difficoltà sul fronte dell’andamento dell’economia – al punto da mettere in discussione la sua rielezione. Un fatto che potrebbe cambiare gli equilibri sullo scacchiere globale.

Le proteste nate dalla morte di Floyd si stanno propagando, però, anche in Europa. Diventano il pretesto per formazioni estremiste per far scoppiare scontri con la polizia e guerriglia urbana: è già successo a Parigi e a Londra. A Milano, invece, senza alcun collegamento con le proteste di cui abbiamo parlato fino a questo momento, abbiamo visto comparire prima i “gilet arancioni”, che sfilavano senza mascherine in piazza Duomo. Poi abbiamo assistito a proteste di formazioni di estrema sinistra che chiedevano un reddito di cittadinanza perpetuo. Infine abbiamo dovuto vedere la statua di Indro Montanelli imbrattata per la seconda volta di vernice.

Tutte queste proteste, al di là delle ragioni ideologiche per le quali sono state ideate e con cui sono state giustificate, rappresentano lo sfogo di una situazione che vede la società, così come la conoscevamo fino a pochi mesi fa, allo stremo. I Paesi sviluppati vivono un momento in cui la disoccupazione è ai massimi storici, le prospettive di crescita al lumicino e le opportunità per i giovani sono ridotte all’osso. In una simile situazione, se gli Stati Uniti e l’Europa non trovano una maniera per salvare il proprio modello di civiltà, rifondandolo attraverso un nuovo Piano Marshall, il rischio è che implodano miseramente. La rivoluzione francese non ci ha insegnato niente?

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