Il fondatore di questo blog, Un’ Europa Diversa, Ernesto Preatoni, sabato della scorsa settimana, ha dedicato il primo intervento dell’anno su Libero all’inflazione: anche se tutti parlano del Covid, la vera emergenza è l’aumento dei prezzi. Se, infatti, l’aumento dei prezzi dovesse diventare strutturale, potrebbe obbligare lo Stato italiano ad aumentare i rendimenti, per continuare a catturare l’interesse degli investitori. Il rischio è che, alla lunga, l’aumento degli interessi pagati al mercato rendano il debito letteralmente insostenibile,

C’è un grande lusso che mi concedo durante le festività comandate: quello di non muovermi da casa. A dirla tutta il ritmo del mio lavoro non diminuisce – all’estero, come diceva bene Marchionne, se ne fregano delle nostre ferie – ma riesco comunque a ritagliarmi qualche ora in più per leggere e studiare, per interessarmi di economia, che resta una delle mie più grandi passioni.

Proprio tra Natale e Capodanno mi sono imbattuto in un articolo molto interessante di un giornalista freelance, Mauro Bottanelli, che, sul sito Money.it, provava a spiegare come, con l’inizio dell’anno, il nostro Paese si trovasse in una vera e propria emergenza. Peccato che, a differenza di quanto si possa pensare, l’emergenza non fosse affatto il Covid. In sintesi, in uno scenario che vede la Fed impegnata a fare “indietro tutta” (senza dirlo ovviamente) sullo stimolo monetario, l’inflazione negli Usa crescere a dismisura e prezzi lievitare anche in Italia, sui mercati sta accadendo una cosa che dovrebbe ben farci paura: nessuno vuole più comprare il debito made in Italy.

Per dimostrare questa tesi Bottanelli ha pubblicato un grafico di Haver Analytics dedicato alla composizione per categoria di detentori di debito pubblico in Italia e Australia. “A rilanciare quel grafico dal suo profilo Twitter, ci ha pensato Robin Brooks, scuola Yale e capo economista dell’IIF – scrive Bottanelli –. Ovvero, la Banca centrale delle Banche centrali. Il testo di accompagnamento parla chiaro: Did ECB QE crowd out private investors on the Euro periphery? Yes! Look at Australia, where the RBA also did QE. Private buyers kept coming, notably from abroad (purple). Not so for Italy, where a 1% yield just isn’t enough risk compensation for private investors. Tradotto, l’Australia ha operato Qe come la Bce per l’Italia ma ha continuato a registrare afflusso di investitori, soprattutto esteri. Mentre l’1% di rendimento non rappresenta una compensazione dal rischio sufficiente riguardo Roma.”

La situazione in cui ci trovavamo a inizio anno, spiega Bottanelli, era (e resta) quella di un debito italiano acquistato unicamente da Bankitalia su mandato Bce: “Tradotto, senza Pepp lo spread sarebbe già oggi ampiamente in area di raddoppio del livello attuale. Forse, addirittura più in area 300 punti base che 250. E a confermare la dinamica sono gli scossoni degli ultimi giorni: l’alto tasso di redemptions che ha schiacciato a quota 10 miliardi netti gli acquisti settimanali dell’Eurotower non riesce più a operare un efficace off-setting sulle pressioni di vendita generate dalle mosse della Fed, il cosiddetto tantrum, dai timori di un rimbalzo macro non garantito da sottostanti in grado di renderlo sostenibile nel 2022 e soprattutto proprio dall’incertezza totale che ormai gravita attorno alle decisioni Bce sugli acquisti di debito post-pandemici.”

Non sappiamo su quali basi Bottanelli abbia stimato il valore di 300 punti base, ma se è vero che nel novembre 2011 – con un debito pubblico ben inferiore – lo spread italiano toccò i 574 punti, possiamo probabilmente ipotizzare che, col fardello che grava oggi sulle casse dello Stato, il differenziale potrebbe tranquillamente tornare su quei livelli. La mia sensazione – avvalorata anche dal fatto che gli acquisti recenti di Btp a tre anni non si siano fermati – è che gli investitori, ancora “anestetizzati” dal lavoro di chi gestisce i loro patrimoni, non si siano ancora accorti che acquistare titoli pubblici con un rendimento del 2%, a fronte di un’inflazione europea che viaggia al 5%, significa perdere il 3% l’anno. Quando se ne renderanno conto – e accadrà – saranno dolori, perché vorrà dire che gli investitori non saranno più disposti ad accettare rendimenti inferiori al valore dell’inflazione. È ovvio che pensare di emettere titoli con un rendimento del 5% sarebbe insostenibile per le casse dello Stato: per l’Italia una condizione simile equivarrebbe alla bancarotta. Mi stupisce davvero che, in una situazione simile, a Roma si discuta solo di emergenza Covid e nuovo capo dello Stato.

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