Il tasso d’inflazione, ovvero la crescita dei prezzi in un dato mese rispetto a quelli dello stesso mese un anno prima, sta salendo ormai da diversi mesi ininterrottamente nei paesi dell’eurozona, e gli analisti dell’Unione Europea stimano che nel mese di novembre abbia raggiunto il maggiore aumento su base annuale da quando sono iniziate le registrazioni di questi dati, cioè nel 1997. Le istituzioni – europee e americane – sostengono che si tratta di una fiammata temporanea e prevista. La realtà però è che i prezzi sono già fuori controllo.
“I dati ufficiali verranno diffusi dall’ufficio statistico dell’Unione Europea, Eurostat, nel corso della giornata di martedì, ma secondo fonti del Wall Street Journal l’aumento dovrebbe attestarsi tra il 4,1 per cento e il 4,5 per cento su base annua – scriveva qualche giorno fa il Post –. A ottobre il tasso di inflazione nell’eurozona era aumentato del 4,1 per cento su base annua, eguagliando il livello massimo registrato nel luglio del 2008, cioè il momento in cui anche in Europa cominciarono ad avvertirsi i primi sintomi della grande crisi finanziaria iniziata negli Stati Uniti un anno prima.”
Secondo il Post, le previsioni sulle stime di Eurostat non sorprendono, visto quanto fatto registrare nei giorni scorsi dall’ufficio nazionale di statistica della Germania, l’economia più solida di tutta l’eurozona. A novembre l’inflazione tedesca è infatti aumentata del 6 per cento su base annua, l’aumento maggiore dal 1992, dopo che a ottobre era aumentata del 4,6 per cento. In Italia invece i dati sull’inflazione dell’ISTAT, l’Istituto Nazionale di Statistica, sono fermi a ottobre, quando era stato registrato un aumento del 3 per cento su base annua (a settembre era stato del 2,5 per cento).
Un aumento del tasso d’inflazione era stato già stato previsto da mercati e analisti a inizio anno, spiega ancora il Post, soprattutto a causa delle ingenti quantità di denaro immesse nelle economie da banche centrali e governi per contrastare la crisi dovuta alla pandemia da coronavirus (più denaro c’è in circolo, più questo tende a svalutarsi, facendo salire i prezzi). Durante la pandemia c’era stata infatti una generale diminuzione dei prezzi, a causa del blocco di gran parte delle attività economiche, e con la ripartenza dell’economia dopo più di un anno di restrizioni un aumento dei prezzi era pressoché certo.
“Non erano stati previsti però due fenomeni che hanno reso questo aumento più marcato: innanzitutto la crisi della “supply chain”, cioè il sistema di trasporti e rifornimenti su cui si basano il commercio e l’economia mondiali, che ha prodotto una scarsità di beni di consumo e generi di prima necessità in tutto il mondo: dalle automobili ai microchip per i prodotti elettronici, dalla carta su cui stampare i libri fino ai tacchini. È un fenomeno dovuto anch’esso alla pandemia, che ha fatto sì che la produzione non fosse in grado di stare al passo della domanda, e che il sistema globale dei trasporti non riuscisse a sua volta a stare dietro alla produzione – conclude il Post –. Tutto questo ha contribuito ulteriormente ad aumentare i prezzi, già alti a causa dell’ingente quantitativo di denaro immesso dalle banche centrali.”













