I prezzi salgono e a pagare, tanto per cambiare, sono le classi meno abbienti. Il fondatore di questo blog, Un’Europa diversa, Ernesto Preatoni, ha dedicato l’intervento di sabato su Libero all’inflazione, che è arrivata e che è qui per restare. E che potrebbe creare grossi problemi alla crescita o, addirittura, infiammare una nuova rivolta sociale.
Qualcuno mi rinfaccia di fare la Cassandra. Questa settimana, però, sono piovute sui quotidiani una serie di notizie che mi hanno dato nuovamente ragione. All’inizio della settimana l’osservatorio nazionale di Federconsumatori ha pubblicato una nuova indagine sui prezzi e i risultati, come si dice in questi casi, parlano da soli: da marzo a ottobre 2021 la farina è salita del 38% sfondando la soglia dell’euro (1,09), la pasta integrale del 33% ed è arrivata a 2,90 euro, il pane dell’11% e ora è a 3,86 euro al chilo. “L’indagine si basa su dieci-quindici esercizi commerciali per città, a seconda delle dimensioni, e seppure il campione non sia amplissimo dà l’idea di cosa sta succedendo – scriveva martedì scorso Federico Formica sulle pagine di Repubblica –. Non solo spendiamo di più per luce elettrica e gas e per il carburante auto, ma anche per pranzare e cenare.”
Voglio partire dall’inflazione – che io avevo preconizzato mesi fa – perché, dal mio punto di vista, rischia di essere il motore primo immobile della crisi sociale che ci troveremo ad affrontare. Come avevo scritto a luglio sulle pagine di questo quotidiano negli anni passati professoroni, economisti e anche diversi banchieri centrali hanno continuato a sbandierare un concetto che, secondo loro, giustificava la scelta di stampare moneta come se non ci fosse stato un domani: “l’inflazione non sta crescendo”. L’inflazione cresce eccome, il problema è che il quantitative easing ha gonfiato le tasche dei ricchi e dei rentier. Ricchi e rentier, però, anche se diventavano più ricchi continuavano, per ovvie ragioni, a comprare le stesse quantità di pane e latte di quando avevano il portafogli meno gonfio.
Per un certo numero di anni è cresciuto il prezzo di quello che compravano i ricchi: asset – ovvero titoli azionari, materie prime – che sono ai massimi storici – e, soprattutto, l’immobiliare. Pane e pasta però, alla lunga, hanno iniziato a diventare più cari proprio per effetto dell’aumento delle materie prime ora e non ci illudiamo: come ha notato molto bene la Banca Centrale Tedesca questo scenario non è destinato a migliorare. Entro fine anno la banca centrale tedesca Bundesbank prevede un’inflazione in Germania verso il 5%. Non solo: per Jens Weidmann, il numero uno della Bundesbank, gli effetti di recupero dovuti ai consumi rimandati durante la pandemia potrebbero risultare maggiori e spingere i prezzi con più vigore. E i tassi di inflazione, in un primo momento più alti, potrebbero sfociare in aspettative di inflazione e accordi salariali più elevati.
A Berlino si sono accorti che l’inflazione a cui assistiamo è un’inflazione principalmente da costo e non da domanda. Quello che mi pare che non sia troppo chiaro ai policy maker – la Lagarde in particolare, che è non è un’economista ma una politica – è che quest’inflazione di potrà tenere sotto controllo soltanto se le persone accetteranno di ridurre i consumi in funzione della perdita di potere d’acquisto subita. Mi sembra difficile, però, che questo possa avvenire: assistiamo, non solo in Italia, a tensioni sociali significative, i sindacati hanno già iniziato a fare richieste importanti, penso ad esempio al tema di quota 100. Non credo che finiremo per tornare alla “scala mobile” di agnelliana memoria, ma temo che assisteremo a un mix di interventi dello Stato – lo abbiamo già visto con le bollette, in Italia – funzionali a ridurre l’aumento dei prezzi e rialzi salariali che, genereranno un ulteriore aumento dell’inflazione, da domanda, questa volta.
Da qui in avanti solo un veggente può dire cosa potrebbe accadere: l’inflazione potrebbe “mangiarsi” un po’ di debito pubblico, da un lato, ma, dall’altro, la forchetta tra ricchi e poveri potrebbe allargarsi ulteriormente. E non voglio neanche pensare a cosa potrebbe accadere sui mercati se qualche banca centrale sbagliasse i tempi di rialzo dei tassi e i mercati crollassero: a quel punto potremmo trovarci di fronte a scenari da crisi del ’29 o, peggio, da Rivoluzione Francese.













