Il fondatore di questo blog, l’imprenditore Ernesto Preatoni, ha dedicato, sabato, un intervento sul quotidiano al tema del debito pubblico, sul quale, il dibattito pubblico tende sempre più allo sproloquio. Va verso il 180% del Pil, dicono alcuni, che temono che possa arrivare, d’un colpo al 200% del prodotto interno lordo. Se fosse vero faremmo concorrenza al Giappone, che però ha tutta un’altra economia, oltre che una banca centrale. Altri, il ministro Gualtieri, ad esempio, giurano che no, il debito pubblico non scoppierà e che, grazie alle risorse europee, presto tornerà sotto i livelli di guardia.

“In generale, però, la narrazione che ci stanno propinando è che il debito pubblico è male – spiega Preatoni – . Al di là delle chiacchiere da bar, chi decide se, come, quando e perché emettere debito pubblico, dovrebbe aver ben chiaro il fatto che non ci sarebbe momento migliore e più opportuno del 2019 per indebitarsi. Migliore, perché la Bce compra la maggior parte delle emissioni a condizioni da svendita – i tassi sono sottozero – e più opportuno perché l’economia del Paese è la stessa di una nazione in guerra. Senza agevolazioni e aiuti da piano Marshall per le categorie più colpite non c’è futuro.”

Nell’articolo Preatoni mutua un’interessante analisi di Giuseppe Liturri, pubblicata qualche giorno fa sulle pagine del quotidiano online Start Magazine, per esemplificare la questione: “La Francia nell’intero 2020 ha eseguito emissioni nette per 309 miliardi (di cui 27 nell’ultimo trimestre), la Germania 249 miliardi, la Spagna 104 miliardi, e l’Italia 140. Ma il dato ancor più stupefacente è il comportamento dell’Italia nell’ultimo trimestre: siamo l’unico Paese a flettere in modo così evidente. Gualtieri ha tenuto rigorosamente stretti i cordoni della borsa, proprio nel trimestre in cui le condizioni di mercato erano eccezionalmente favorevoli. Osservando le emissioni lorde, lo scarto è ancora più impressionante. La Francia ha emesso titoli per 1.103 miliardi, l’Italia per 559. Esattamente la metà – scrive Liturri –. Pare proprio che nella Ue esistano due insiemi di regole: il primo si applica alla Francia, il secondo si applica a tutti gli altri, specialmente se in questo secondo gruppo c’è l’Italia. Ma l’aspetto ancora più oltraggioso per il nostro Paese è il fatto che, insieme alla Spagna, siamo contemporaneamente tra i Paesi che hanno adottato le più dure misure di contenimento (misurate dall’Oxford stringency index) dell’epidemia, hanno pagato il più alto contributo in termini di vittime per abitante e fanno segnare il peggiore decremento di Pil.”

In sintesi: l’Italia ha fatto la cicala quando avrebbe dovuto gestire più avvedutamente le proprie risorse. E oggi, che dovrebbe indebitarsi, e ci sarebbero le condizioni, tira i remi in barca e aspetta i soldi del Mes e del Recovery Fund. Uccidiamo intere generazioni di imprenditori perché dobbiamo risparmiare sul debito pubblico a favore delle future generazioni. Neanche un ragioniere – non dico un economista – sarebbe in grado di formulare un pensiero tanto insipiente.

“Il rischio del debito pubblico – il rischio Paese – sta nelle mani di chi detiene il debito e non di chi lo colloca. Se ci sono le condizioni e le necessità per indebitarsi l’Italia – che non è un’azienda ma uno Stato – lo deve fare per garantire stabilità, dignità e coesione sociale alla popolazione – conclude Preatoni –. Si potranno rimodulare le emissioni superata la guerra col Covid-19. Finché la Banca Centrale assicura le emissioni il rischio non c’è. Certo, qualcuno potrebbe obiettare, e se dovesse accadere qualcosa che facesse saltare l’argine? Io credo che, finché l’emergenza non sarà finita, sarebbe un obbligo morale della Bce continuare a garantire questo tipo di politica monetaria e, con essa, l’esistenza stessa dell’Unione Europea. Se non lo farà, il problema sarà dei creditori, che dovranno subire la ristrutturazione del debito. Tertium non datur. E prima a Roma lo capiranno, prima potranno iniziare a ragionare su politiche di sostegno economico seria, perché, in questo momento, l’emergenza non sono le generazioni future, ma le partite iva attuali che muoiono di fame.”

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