“Lo “storytelling” su cui regge, ormai da mesi, la strategia Draghi è che gli anni della pandemia, e quelli successivi, saranno un periodo in cui il governo non potrà pretendere dai cittadini, ma, al contrario, dovrà “dare” e creare “debito buono” per raggiungere quest’obiettivo. Non me ne voglia il buon Francesco Giavazzi, che da menestrello dell’austerità espansiva di montiana memoria, ora, nei panni del consigliere economico di Draghi (qualcuno poi, un giorno, mi spiegherà di che consigli dovrebbe avere bisogno l’ex Presidente della Bce, ma transeat) va a gridare ai quattro venti (e convegni) che il debito non è un problema: la verità è che questa storia del governo buono che taglia le tasse è una panzana colossale”. Lo scriveva, sabato, su Libero, il fondatore di questo blog, Ernesto Preatoni.

Lo dicono i numeri. Giuseppe Liturri, sulle pagine della testata online Start Magazine, ha, ad esempio, scoperto che tra il 2019 di Conte e il 2021 di Draghi non c’è stata alcuna virata strategica sul fronte delle tasse: i dati sulle entrate tributarie del periodo gennaio-settembre 2021, offrono un quadro molto netto di queste scelte dei governi Conte 2 e Draghi, in perfetta continuità tra loro. Infatti, al Mef hanno registrato entrate per 341 miliardi, con un incremento del 12,3% rispetto allo stesso periodo del 2020. E se il confronto con il 2020 è fuorviante – a causa delle numerose sospensioni di versamenti avvenute nell’anno e per il calo delle attività produttive proviamo a confrontare il 2021 con il 2019: il risultato è che nonostante il Pil 2021 sia ancora inferiore del 4,1% rispetto al 2019 – scrive –, le imposte dirette e l’Iva aumentano rispettivamente del 1,2% e del 5,9%.”

Ma quanto la fai lunga, risponderà qualche sostenitore del nostro presidente del Consiglio, adesso c’è la rimodulazione delle aliquote, le tasse calano. Anche qui, ci sarebbe da discutere: “La riforma dell’Irpef prevede infatti un ridisegno della tassazione che alleggerirà il carico a tutte le fasce di reddito, a quelle povere, ma in particolare a quelle storicamente più penalizzate, tra i 40 e i 50mila euro di reddito, mentre ai contribuenti maggiori resterà un vantaggio di circa 90 euro l’anno. La proposta di un contributo di solidarietà, prima ipotizzato e poi rientrato, ha aperto un intenso dibattito sull’equità della misura – ha scritto qualche giorno fa Massimo Calvi su Avvenire – Chi la difende sostiene, a ragione, che sopra i 75mila euro, cioè circa 3.400 euro al mese, si può benissimo rinunciare a pochi euro di sconto per aiutare chi sta peggio a pagare le bollette”. Ci sono due punti, qui, su cui ci sarebbe da discutere. Il primo, lo nota lo stesso Calvi: possibile che nello scontro attorno all’equità di una misura che riguarda il ceto medio, il tema dei figli a carico non sia venuto in mente a nessuno? Perché se un padre di famiglia guadagna 75mila euro all’anno e magari mantiene moglie e un paio di figli di certo non naviga nell’oro. Ben diverso se, invece, parliamo di un single. Punto primo.

Punto secondo: come ha spesso sottolineato Alberto Brambilla, in Italia, il 43% dei contribuenti (nella gran parte dei casi dipendenti e pensionati) paga il 91,46% di tutta l’Irpef; il restante 57% ne paga solo l’8,54%. Viviamo uno scenario che sembra un misto tra la Repubblica delle Banane – dove ciascuno dichiara quel che vuole, tranne i salariati – e la Repubblica Sovietica, della “ricchezza” – parliamo di 3mila euro l’anno per famiglia – deve essere penalizzata, facendo pagare ai “ricchi” le bollette dei poveri (o dei furbi). Se un Paese costruisce un sistema fiscale di questo genere, si condanna a tre effetti che trovo moralmente osceni: prima di tutto al calo demografico. In secondo luogo, deprime la produttività: quanti piccoli imprenditori conoscete che preferiscono non prendere un lavoro pur di non sforare lo “scaglione” oppure superare il limite del “forfait”? Terzo effetto: fa scappare le menti brillanti e chi punta al vertice. Dico spesso che non ho grandi speranze per questo Paese, oggi credo di averne esemplificato una gran parte dei motivi.

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