I due mesi chiusi in casa a tentare di appiattire la curva dei contagi in Italia rischiano di fare più morti e feriti del virus. È la conclusione a cui è arrivato Philip Thomas – economista dell’università di Bristol – che, il 25 marzo, il giorno dopo il lockdown in Gran Bretagna ha ipotizzato che la chiusura delle attività avrebbe portato a un numero di morti paragonabile a quello prodotto dal virus.
“Il Prof. Thomas – scriveva qualche giorno fa il quotidiano inglese Telegraph – stima ora che 150.000 persone potrebbero morire di Covid-19 nell’arco di cinque anni nelle condizioni di blocco intermittente necessarie per mantenere i tassi di infezione, o il numero di riproduzione ‘R’, al di sotto di uno se non si trova un vaccino. Prevede però che 675.000 persone potrebbero morire per i danni collaterali, molte più dei 577.000 decessi previsti dall’Imperial College di Londra se il coronavirus fosse stato permesso di circolare tra la popolazione senza controllo. Più, infatti, di tutte le vite britanniche perse nel corso seconda guerra mondiale.”
“L’economia di una nazione e la sua salute sono così strettamente connesse al punto da diventare inseparabili”, ha spiegato il Prof. Thomas quando ha pubblicato i nuovi dati il mese scorso. “La povertà uccide tanto quanto il coronavirus”. Gli scienziati sono così preoccupati per i costi esorbitanti dell’isolamento che il Consiglio di ricerca economica e sociale (ESRC) ha commissionato una ricerca per determinare se l’impatto della recessione sarà molto più dannoso per la salute della nazione rispetto alla pandemia stessa.
Secondo il Telegraph quella ricerca avrebbe dovuto essere effettuata mesi fa. Il governo è stato ampiamente criticato per non essere riuscito a coinvolgere tempestivamente gli economisti. Quando il Paese è entrato in lockdown, non era stato elaborato alcun modello circa gli effetti a lungo termine sulla salute e sulla società della chiusura di un’intera economia. Parlando al Comitato di selezione per la scienza e la tecnologia, venerdì, l’eminente economista James Poterba, professore di economia al Massachusetts Institute of Technology (MIT), ha detto: “C’è stata troppo poca interazione tra gli epidemiologi e la comunità economica.
Nella fase più acuta della crisi finanziaria del 2008 nel Regno Unito, c’è stato un calo dell’occupazione di circa il cinque per cento. Una situazione simile l’anno prossimo comporterebbe un aumento tra il sette e il dieci per cento delle malattie croniche nelle persone in età lavorativa. Ciò si tradurrebbe in oltre 900.000 persone in più con patologie come l’asma, la depressione e i problemi cardiaci, secondo le previsioni dell’Imperial College.













