Quando si parla di Recovery Plan ci danno sempre da intendere che stiano per piovere sulle case degli Italiani più di 200 miliardi di euro con cui ricostruire, dopo lo tsunami Covid-19. Peccato che una vecchia regola dell’economia stabilisca che i free-lunch (i pasti gratuiti) non esistano. E così ora si scopre da dove prenderà l’Europa una parte dei denari che dovrebbero prestarci da Bruxelles, se i nostri piani di ricostruzione li soddisferanno adeguatamente. Allacciate le cinture, arrivano nuove tasse.

“Quattro nuove «tassazioni» – scrive Luigi Chiarello su Italia Oggi – dal gettito complessivo stimato in 22 mld di euro l’anno (circa il 12% del totale delle entrate del bilancio Ue), che hanno l’obiettivo dichiarato di incrementare dello 0,6% le entrate dirette dell’Unione – note come risorse proprie – per far fronte a tutte le passività derivanti dall’emissione dei cosiddetti Recovery bond (interessi ed eventuali, seppur remote, inadempienze dei singoli stati). Il tutto fino al 31 dicembre 2058.”

È quanto mette in conto la Commissione europea per ottemperare agli impegni finanziari conseguenti al varo del Piano di ripresa e resilienza post Covid-19, contenuto nel pacchetto Next Generation EU. Bruxelles prenderà a prestito dal mercato fino a 750 mld di euro, gran parte dei quali nel periodo 2020/24.

“Questo aumento è dello 0,6% e vale sia per il totale dei prelievi fiscali diretti dell’Unione (limite oggi pari all’1,4% della somma del Reddito nazionale lordo di tutti gli stati membri) – aggiunge Chiarello –, sia per il totale delle contribuzioni che i singoli stati versano ogni anno al bilancio Ue (massimale ora non superiore all’1,46% della somma dell’Rnl di tutti gli stati).”

I nuovi prelievi consisteranno in un’aliquota del 3% applicata alla nuova base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società; una quota del 20% dei proventi delle aste del sistema Ue di scambio delle quote di emissioni; un contributo nazionale basato sulla quantità di rifiuti di imballaggi di plastica non riciclati. A tutto ciò si affiancherà una riforma delle attuali entrate, che manterrà i dazi doganali come gettito diretto, ma ridurrà dal 20 al 10% la percentuale che gli stati trattengono a titolo di «spese di riscossione».

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