Molti in questi giorni mi hanno domandato perché – dopo una lunga carriera che per molti anni mi ha visto impegnato soprattutto all’estero – io abbia deciso di ideare il manifesto antidepressivo. Il manifesto nasce dall’osservazione della crisi che sta attraversando l’economia europea, ma è soprattutto figlio della mia preoccupazione per la tremenda fase di declino che vive l’Italia.

L’idea del manifesto, in realtà, è nata almeno quattro anni fa, nel 2008, quando stavo per investire su un progetto che mi stava a cuore. L’economia in quel periodo dava segnali strani, preoccupanti (pochi mesi dopo sarebbe fallita Lehman Brothers). Quei segnali mi hanno spinto alla prudenza, a mettere in stand by gli investimenti che avevo programmato.

Mettere in stand by i progetti, però, non è una soluzione definitiva per un imprenditore: volevo prendere il tempo necessario per capire in che direzione sarebbero andati i mercati e tornare a operare. Volevo comprendere dove avrei potuto trovare nuove opportunità e da quali aree e settori sarebbe stato meglio guardarsi.

Per cercare di interpretare al meglio la situazione ho cercato di approfondire il più possibile le mie conoscenze in campo economico. Ho iniziato a leggere i testi dei più importanti economisti moderni: da Keynes a Krugman, da Savona a Rogoff, tanto per citare qualche nome.

L’idea che mi ero fatto, già allora – e ci sono miei articoli e interventi pubblicati anche su questo blog che testimoniano il fatto che già alcuni anni fa avevo previsto quello che è accaduto negli ultimi mesi –, era e resta che la crisi sia figlia di un’Europa nata zoppa. Un’Unione che vincola i Paesi più lenti e deboli a crescere, come l’Italia, a un passo che essi non sono in grado di sostenere, dettato da Stati come la Germania. Una volta quei Paesi che, come l’Italia, dovevano prendere atto del mutato rapporto di forza tra la propria economia e quella della Germania, utilizzavano una soluzione molto semplice: svalutavano la propria moneta. Prova ne è il fatto che nel 1971 ci volevano circa 150 Lire per comprare un Marco. Trent’anni dopo, quando siamo entrati nell’Euro, lo stesso Marco valeva circa mille Lire.

Dal momento che, però, con la moneta unica la svalutazione delle valute dei singoli Stati non è più possibile, l’Europa ha trovato un’altra soluzione per i Paesi “deboli”. La “cura” che l’Unione ha escogitato si chiama austerity ed è fatta di tagli alla spesa pubblica e incremento della tassazione. Questa cura oggi sta uccidendo la Grecia – che è stata il primo paziente ad essere sottoposto alla terapia – ma anche l’Italia inizia a dare segnali preoccupanti: il nostro prodotto interno lordo per il 2012 dovrebbe far segnare una contrazione del 2,4%. Siamo in piena recessione.

Una recessione che è frutto di quelle stesse politiche che, invece, avrebbero dovuto ridare ossigeno alla nostra economia, a quella della Grecia, del Portogallo e della Spagna. Preoccupanti scricchiolii, peraltro, arrivano anche dalla Francia e, apparente paradosso, dalla Germania, che sta rallentando la propria corsa.

Oggi, come qualche anno fa, sono convinto che l’unico modo per uscire dalla crisi, per l’Italia e per l’Europa tutta, sia smetterla coi tagli e investire sulla crescita. Come? Semplicemente permettendo alla Bce di fare in Europa ciò che Fed fa negli Stati Uniti durante i cicli recessivi: stampare nuova moneta.

Al di là, però, degli strumenti attraverso i quali si potrebbe combattere la crisi – di cui vorrei che si parlasse in futuro all’interno di questo blog – il punto sul quale vorrei portare l’attenzione di chi legge il manifesto è il fatto che per superare questo momento di difficoltà serve un ingrediente fondamentale: il coraggio.

Il coraggio di smetterla di applicare teorie economiche costruite a tavolino, che – calate nella realtà – stanno producendo solo povertà e depressione. Il coraggio di capire che uno Stato non si governa come una Società per Azioni: non basta cioè tagliare i costi e aumentare i ricavi per assicurarsi un bilancio ottimale. Uno Stato, infatti, non si comporta come un’azienda e ha un obiettivo e un dovere che una società privata non ha: quello di assicurare prima di tutto il benessere dei propri cittadini.

Oggi, come alcuni anni fa, sono convinto che l’austerity che è stata imposta in Europa non sia la soluzione e che il male peggiore sia il fatto che in pochi sembrano accorgersene. Il manifesto è quindi una sintesi di queste mie idee e vuole essere un punto di partenza per avviare un dibattito sulle scelte che sono state fatte all’interno dell’Unione Europea – e in Italia – fino a questo momento e sulle possibili alternative alle politiche di rigore attuate fino ad oggi.

Spero che questo contributo possa in qualche modo aiutare il Paese ad agganciare la ripresa economica. Una ripresa che auspico, poiché, da imprenditore, mi piacerebbe, dopo tanti anni, poter tornare a investire in un’Italia capace di crescere.

  Ernesto Preatoni

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