Più vecchi, più soli, più poveri. È questa la radiografia dell’Italia rappresentata dal Rapporto 2018 dell’Istat sulla situazione socio-economica dell’Italia. Un Paese già con il fiatone prima della crisi e che anziché mandare segnali di rafforzamento vero ha dato vita a una stagione di austerità e di sacrifici senza preoccuparsi di verificarne l’impatto in termini economici e sociali. Così oggi viviamo in un’Italia anemica, che manca di energie vitali. I giovani migliori vanno via per lavorare o, più semplicemente, per studiare. Il Rapporto è una dolente corona di dati negativi: siamo il secondo Paese più vecchio al mondo (168,7 anziani ogni 100 giovani), in declino demografico per il terzo anno consecutivo: nel 2017 è stato raggiunto il record di culle vuote dopo nove anni consecutive di declino delle nascite. Siamo un Paese più fragile (il 17,2% degli italiani si sente privo o quasi di sostegno sociale). Crescono le diseguaglianze, la povertà assoluta e gli indici di sofferenza sociale, con un ascensore sociale sostanzialmente bloccato e un Sud sempre più arretrato e devitalizzato. Dobbiamo cambiare rotta e dobbiamo farlo in fretta.

Ma come? Innanzitutto chiedendo un’Europa diversa fino al punto, se necessario, di arrivare all’uscita dall’euro. Una soluzione drammatica? Certo, tuttavia migliore dell’attuale congiuntura che sta portando alla morte lenta. Perché è inutile girarci intorno. Fra Bruxelles e Francoforte hanno sbagliato quasi tutto. Hanno adottato provvedimenti che, invece di fermare la crisi economica l’hanno accentuata. Nel 2008, mentre l’economia cominciava a scricchiolare per via del crack di Lehman la Bce guidata dal francese Trichet, decise di alzare i tassi mentre sarebbe stato necessario fare il contrario. Nel 2011 dinanzi all’esplodere del problema del debito pubblico vennero varate politiche di sacrifici e di austerità. È come se a un individuo malato di polmonite fosse stato prescritto un bagno nell’acqua gelida. Già un miracolo che il paziente non sia morto.

Il Rapporto dell’Istat ci dice che il peggio si avvicina ma l’Italia è fatta di fibra forte e ci metterà del tempo a fallire. Il destino però è segnato. E allora chiediamoci: vale la pena aspettare la fine inevitabile per rispettare l’euro, Maastricht, il fiscal compact e tutto quello che ne consegue? Oppure non è meglio dare un taglio netto con il passato e ricominciare daccapo?

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