Giuseppe Liturri, sulle pagine di Start Magazine, dedica una circostanziata analisi alla vittima inaugurale del complesso intreccio normativo, burocratico e procedurale che è stato messo in piedi per gestire il PNRR, ovvero il credito di imposta del 50% (40% dal 2022) per investimenti in beni materiali e immateriali rispondenti ai requisiti “4.0”, cioè a elevata componente tecnologica e digitale. Una misura che, con diverse modalità ben note agli imprenditori e ai consulenti, esiste già dal 2017 ed è sempre stata pacificamente cumulabile con altri incentivi come la Legge Sabatini o il credito di imposta per investimenti al sud. L’unico limite è sempre stato il divieto di superamento del 100% del costo. Ma, dal 2021 – anche per fare numero e raggiungere la quota del 25% del PNRR dedicata alla transizione digitale – l’incentivo per beni “4.0” è finanziato da 13 miliardi di fondi UE e altri 5 di fondi nazionali ed è entrato nella misura 1 del PNRR sotto il nome “transizione 4.0”. Deve quindi necessariamente rispettare le regole UE.

“Tra queste, ce n’è una che vieta il “doppio finanziamento” del medesimo costo – spiega Liturri –. Nulla di nuovo, poiché è sempre esistita nell’ambito della normale programmazione di bilancio della UE, finalizzata ad impedire che uno stesso costo ricevesse benefici da diversi strumenti o programmi dell’Unione. E tale divieto è stato inserito anche nelle norme UE (articolo 9 del regolamento 241/2021) che disciplinano il PNRR. Ma – come spesso accade quando le norme UE sono recepite in Italia – lo scorso 14 ottobre il Mef ha emanato una circolare firmata dal Ragioniere Generale Biagio Mazzotta, in cui una sapiente “manina”, peraltro ben annidata in un allegato, ha esteso il divieto di doppio finanziamento aggiungendo, oltre agli strumenti della UE, anche le “risorse ordinarie del bilancio statale”. Andando così ben oltre la disposizione del regolamento UE.”

La gravità della vicenda non è solo nel merito – ancora una volta ci ritroviamo con la UE che apparentemente ci offre delle risorse ma nella sostanza ce le sottrae – ma anche nel merito. Può una circolare diventare fonte del diritto, non limitandosi a illustrare il contenuto di una legge ma ampliandone il contenuto? O, in alternativa, poiché riteniamo che alla Ragioneria nessuno scriva certe cose casualmente, si vuole implicitamente affermare che quel divieto di cumulo è sempre esistito e dagli uffici di via XX settembre si sono limitati a ribadire l’ovvio? Allora hanno sbagliato a Bruxelles, perché quando hanno approvato il PNRR sapevano che l’incentivo “4.0” era cumulabile – essendo scritto in lungo in largo già da mesi prima in leggi e circolari – e non hanno battuto ciglio, lasciando che gli imprenditori italiani pianificassero investimenti facendo affidamento sul cumulo.

“Non vorremmo essere in presenza del solito balletto Roma-Bruxelles che abbiamo già visto in scena con il tetto agli aiuti di Stato per il Covid, per i quali abbiamo capito solo dopo che siamo stati noi timidi nel chiedere e non avari a Bruxelles nel concedere – conclude Liturri –. Nel frattempo le fiere italiane sono rimaste per quasi un anno a secco di aiuti. Quando certe scelte sembrano ispirate da Tafazzi, non ci si può più nascondere dietro “ce lo chiede l’Europa” ed è bene che dal ministero dell’economia giungano risposte chiare su questa vicenda e che il Parlamento si riappropri del ruolo che la Costituzione gli riserva.”

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