Basta un numero per capire esattamente quello che è successo domenica con il referendum. A fornirlo l’Istat dando il quadro di un Paese stremato da sedici anni di euro… Esaminando le condizioni di vita del 2015 l’istituto fa sapere che quasi un italiano su 3 è a rischio povertà, soprattutto nelle famiglie numerose. La situazione più grave è al Sud (che non a caso ha votato in maggioranza per il No). Inoltre la diseguaglianza tra le “buste paga” è tra le maggiori d’Europa.
Che cosa significa in concreto il rischio povertà? Vuol dire che aumentano gli italiani in arretrato con le bollette, l’affitto, il mutuo o altro tipo di prestito, Oppure quelli che non possono riscaldare adeguatamente l’abitazione nè sostenere spese impreviste di 800 euro. L’elenco non finisce qui. Sono a rischio povertà perché non si possono permettere un pasto adeguato almeno una volta ogni due giorni. Tantomeno una settimana di vacanza all’anno lontano da casa. Sapere che il 29% degli italiani si trova in zona povertà dovrebbe imporre riflessioni importanti sugli effetti della crisi economica. Perché dietro l’aridità delle cifre ci sono uomini, donne, ragazzi con i loro problemi, le angosce del presente, la paura del futuro.
Ancora più grave peggioramento rispetto al 2014. Soprattutto tra chi vive in famiglie con almeno cinque componenti (la stima passa dal 40,2% al 43,7%). Il disagio maggiore tra chi vive in coppia con almeno tre figli. Siamo, cioè, in presenza di una classe media che si sta impoverendo e dei ceti deboli che non riescono a riprendersi.
La crisi ha spaccato ancora di più il Paese. Quasi la metà dei residenti nel Sud e nelle Isole (46,4%) è a rischio, contro il 24% del Centro e il 17,4% del Nord. I livelli sono superiori alla media nazionale in tutte le regioni del Mezzogiorno: i valori più elevati si trovano in Sicilia (55,4%), Puglia (47,8%) e Campania (46,1%). Non a caso si tratta delle zone dove la sconfitta di Renzi è stata più netta. È chiaro che qualunque ipotesi di ripresa economica deve partire da qui. Difficile, però, che possa accadere fino a quando restiamo nell’euro. I dati sul lavoro forniti oggi lo confermano: nonostante il jobs act e il bonus sui contributi la disoccupazione è inchiodata all’11,6%.













